Rimesse solutorie – La verifica può essere effettuata solo dopo la rettifica del saldo

L’ormai nota Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 24418/2010, ha distinto le rimesse ripristinatorie dalle rimesse solutorie nei rapporti bancari, in ordine alla decorrenza della prescrizione del diritto del cliente alla ripetizione degli importi indebitamente versati alla banca.

La Cassazione ha in particolare stabilito che la prescrizione decennale dell’azione di ripetizione da parte del cliente delle somme addebitate nei rapporti bancari inizia a decorrere dalla chiusura del rapporto per le rimesse ripristinatorie (eseguite cioè in presenza di un affidamento concesso e nei limiti dello stesso, quale ripristino della disponibilità ottenuta con il fido), ed invece da ogni singolo addebito per le rimesse solutorie (eseguite cioè in assenza di affidamento o oltre l’affidamento concesso, in cui la rimessa ha l’effetto di estinguere il debito del cliente verso la banca).

Tale distinzione ha portato all’applicazione nelle CTU disposte in corso di causa di una prassi operativa nettamente sfavorevole al correntista.

Difatti, i consulenti tecnici nominati dal Tribunale, soventemente, si limitavano a verificare l’importo delle rimesse che risultavano di natura solutoria e detraevano tale importo dalle somme illegittime eventualmente addebitate sul conto.

All’esito di tale operazione il credito ripetibile del correntista risultava per la stragrande maggioranza prescritto.

E’ pertanto molto interessante una recente pronuncia della Cassazione (Cass. Civ. 9141/2020) che, in netto contrasto con quanto detto sopra, ha stabilito che “Per verificare se un versamento effettuato dal correntista nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente abbia avuto natura solutoria o solo ripristinatoria, occorre, all’esito della declaratoria di nullità da parte dei giudici di merito delle clausole anatocistiche, previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito e conseguentemente determinare il reale passivo del correntista e ciò anche al fine di verificare se quest’ultimo ecceda o meno i limiti del concesso affidamento.

L’applicazione di tale principio nei calcoli della CTU porterà sicuramente ad una diminuzione delle rimesse da considerarsi solutorie, e, di conseguenza, una maggiore possibilità da parte del correntista di ottenere la ripetizione di somme illegittimamente addebitate dall’istituto di credito anche in periodi molto risalenti.